Santa Maria del Canneto a Roccavivara

Santa Maria del Canneto a Roccavivara

La statale 650, la Fondo Valle Trigno, chiamata localmente “Trignina”, da San Salvo corre accanto al fiume Trigno per terminare a Isernia, murata città sannitica, oggi capoluogo di provincia del Molise.

Il paesaggio, qui, è davvero incantato.

La valle è ampia, il fiume scorre placido, senza confini ben definiti ma è subito cinto di alte colline, montagne quasi, con i piccoli borghi, abruzzesi da un lato, molisani dall’altro, che lo spiano dagli alti poggi.

Il sole del tramonto si incanala da sempre nella valle, creando magnifici giochi di luce e accarezzando, un tempo, estesi canneti.

E proprio qui, nell’agro del Comune di Roccavivara, a poca distanza dal punto di congiunzione del fiume Trigno con il torrente Ponte di Musa, uno dei suoi affluenti, sorgono, a ridosso del greto del fiume, i resti di un insediamento di età romana e una delle più belle chiese romaniche della regione: Santa Maria del Canneto.

La villa rustica

La zona, che deve il nome proprio alla presenza di ampie distese di canneti, è stata abitata fin dall’età preistorica; un luogo incantevole e ricco di risorse naturali che hanno garantito prosperità e ricchezza anche agli insediamenti dei millenni successivi.

Gli scavi dell’area hanno testimoniato che, in età romana, prese piede un’intensa attività agricola, favorita dalla fertilità del suolo, dal suo andamento pianeggiante e dalla presenza di una via fluviale verso il mare che assicurava agevoli scambi commerciali.

Già nel I sec. a.C., dunque, è attestata l’esistenza di una villa rustica, un’azienda agricola di età romana per la produzione e lo stoccaggio, soprattutto, di vino e olio.

La villa era del tutto autosufficiente, così come raccomandavano gli scrittori romani di agricoltura quali Varrone e Columella, e poteva vantare un capiente magazzino con 22 dolia (grandi contenitori ceramici interrati utilizzati per la conservazione di olio, vino e cereali), vasche di decantazione, un torchio, un mulino e un forno.

Nel III sec. d.C., la parte residenziale della villa viene ristrutturata e abbellita con mosaici policromi, forse in seguito al trasferimento in campagna del dominus, il signore della villa, dalla sua residenza urbana (probabilmente a Terventum, Trivento, municipio romano nel cui comprensorio ricadeva la zona).

Le periodiche esondazioni del fiume obliterarono i resti della villa dopo il suo abbandono che, riportati alla luce dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Molise con diverse campagne di scavo, a partire dal 1977, sono oggi visibili grazie ad un piacevole percorso di visita.

Il culto cristiano

Non ci sono testimonianze dirette su come la villa rustica si sia trasformata in un luogo di culto cristiano. È probabile che gli abitanti del luogo, convertiti, abbiano trovato in queste vecchie mura il conforto della fede e abbiano qui fondato una piccola comunità religiosa.

Il “Chronicon Vulturnense”, testo in latino medievale scritto dal monaco Giovanni tra il 1111 e il 1139, racconta che il duca beneventano Gisulfo I, nel 706 d.C., donò ”S. Maria iuxta Trinum” (sul Trigno) al monastero di S. Vincenzo al Volturno.

E fu proprio l’abate Rainaldo, rettore dell’abbazia volturnense, che fece edificare la chiesa tra il 1137 e il 1166.

Successivamente, i benedettini di Montecassino divennero i custodi del monastero e della chiesa fino al 1474 quando, a causa di un ridimensionamento dei confini del potere abbaziale, li abbandonarono, avviando un lento e inesorabile declino del santuario, favorito anche dalle esondazioni del Trigno e del suo affluente.

La chiesa di S. Maria Vergine

Per l’edificazione della chiesa furono utilizzati diversi elementi architettonici della villa e dei monumenti funerari di una necropoli romana nelle vicinanze: blocchi lavorati, colonne, capitelli, iscrizioni, cornici, bassorilievi e tutto quello che le maestranze altomedievali furono in grado di recuperare dai precedenti edifici antichi dell’area.

A destra della chiesa sorge la torre campanaria merlata, alta 25 metri, che fu ultimata nel 1329.

Dopo l’abbandono dei benedettini e il declino del santuario, un appassionato sacerdote, Don Duilio Lemme, grazie anche all’aiuto di alcuni volenterosi, decise di ripristinare il culto nella chiesa di S. Maria e procedette ad una risistemazione dell’edificio a partire dal 1930 e fino al 1935, quando fu riaperto al pubblico.

Da allora, la splendida chiesa romanica, a tre navate absidate, è nota meta di pellegrinaggi mariani: la piccola statua di culto è una Madonna lignea del XIV secolo in stile gotico, chiamata anche Madonna o Vergine del Sorriso, per via dell’espressione dolcemente sorridente del suo volto.

Di grande impatto scenico, l’ambone-pulpito a sinistra della navata centrale; finemente decorato fu eretto nel 1223, in parte con materiali di reimpiego più antichi.

L’ambone è sostenuto da tre archi disuguali e, sotto il parapetto, si aprono sette piccole edicole: quella centrale doveva sostenere un’aquila che, con le sue ali spiegate, fungeva da leggio.

Le altre sono occupate da sei monaci in altorilievo, intenti alle attività che rappresentano la regola monastica dell’ora et labora.

Curiosità

Due leoni di pietra, quattro in tutto, sorvegliano le facciate a mezzogiorno della chiesa e del campanile; i monaci benedettini erano soliti indicare in questo modo la direzione verso l’Abbazia Madre di Montecassino.

Photo credits: Tommaso Labella

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