Pescolanciano: l’antico castello sul tratturo

Pescolanciano: l’antico castello sul tratturo

Pescolanciano può vantare uno dei più importanti e antichi castelli del Molise, abitato per secoli dalla stessa famiglia.

A cavallo del tratturo Castel di Sangro – Lucera, all’ingresso dell’area montuosa del Molise denominata “Alto Molise”, Pescolanciano ha una posizione invidiabile a ridosso della riserva MAB di Montedimezzo – Collemeluccio e a pochi chilometri dal santuario italico di Pietrabbondante, una delle aree archeologiche più visitate della regione.

La lunga storia del suo castello e la bellezza del paesaggio naturale, sono solo alcuni dei motivi per cui vale la pena fare tappa in questo piccolo paese di meno di 1000 abitanti.

Il tratturo e il castello

Il paese nasce stringendosi intorno alle mura del castello d’Alessandro. Il primo nucleo fortificato sorto a ridosso del percorso tratturale è, probabilmente, di epoca sannitica.

Tuttavia, nel corso dei secoli, viene rimaneggiato e ampliato più volte per via della sua posizione strategica all’incrocio di più percorsi tratturali (Castel di Sangro – Lucera, Pescolanciano-Sprondasino, Sprondasino-Castel del Giudice).

Il tratto che attraversa il paese è tra i meglio conservati di tutta la regione. Se si volesse realmente “vedere” un tratturo, Pescolanciano è uno dei pochi luoghi che offre questa possibilità.

Il sistema tratturale, già esistente diversi secoli prima della nascita di Cristo, fu completamente ripristinato e favorito durante il dominio spagnolo degli Aragonesi, nel XV secolo.

Numerosi percorsi erbosi collegavano le più importanti aree montuose di pascolo dell’Abruzzo con le estese pianure della Puglia che accoglievano le greggi abruzzesi durante la stagione invernale.

Questo sistema economico costituito da pedaggi, tasse e vendita di beni legati all’allevamento transumante (in particolare la lana) è rimasto in vigore fino al 1800. Ha consentito alle famiglie nobili filoaragonesi di prosperare e avviare importanti programmi di rinnovamento di rocche e castelli.

Alla fine del 1500 i d’Alessandro, tutt’ora proprietari del castello, diventano baroni di Pescolanciano e, dal 1654, duchi. Nel 1673 alcune reliquie del corpo del martire cristiano S. Alessandro di Bergamo, pervenute da Roma con bolla papale e celebrate con antico rituale, presero posto nella piccola chiesa – cappella del castello. Rimessa a nuovo per l’occasione e tutt’ora visitabile.

Negli stessi anni, la famiglia intraprende l’allevamento equestre di cavalli “saltatori”, appositamente selezionati ed estremamente richiesti dai cavalieri del Regno di Napoli.

Questa passione per i cavalli durerà fino al XIX secolo. Oggi, gli appartamenti privati della famiglia d’Alessandro, bellissimi e ricchi di preziosi oggetti d’epoca, sono visitabili solo in alcune giornate dell’anno.

Il resto del castello è gestito da una locale associazione (Intramontes) per percorsi di visita e iniziative culturali.

La cucina del castello tra ceramiche e tartufi

Tra il 1780 ed il 1795, Pasquale Maria d’Alessandro (1756-1816), duca di Pescolanciano, decise di cavalcare l’onda del successo delle porcellane di Capodimonte impiantando una fabbrica di maioliche, terraglie e porcellane adiacente al castello.

Questo slancio imprenditoriale portò un immediato successo, a tal punto da fare concorrenza alla stessa regia fabbrica in Napoli.

Chiamarono Maestranze napoletane e venete a produrre forme tipiche dell’epoca e proprio all’imperizia di alcuni maestri di fabbrica si attribuisce la fine della manifattura. Questa avvenne a seguito di un incendio che alcuni, tuttavia, ritengono di natura dolosa, appiccato per motivi politici e di concorrenza.

A raccontare questa affascinante vicenda è il Museo delle Ceramiche di Pescolanciano, allestito nei locali dell’ex Taverna del Duca d’Alessandro, con la collezione personale dell’erede della famiglia: Ettore d’Alessandro.

In esposizione, diversi pezzi rari e unici che farebbero la felicità di molti collezionisti. Le porcellane di Pescolanciano, infatti, proprio perché prodotte in un breve lasso di tempo e con uno stile unico, sono richiestissime sul mercato antiquario.

Non è difficile immaginare le bellissime tavole apparecchiate nel castello con le ceramiche prodotte dalla fabbrica d’Alessandro.

In quel periodo gli ordini di cucina prevedevano diverse zuppe, carne allevata e di cacciagione come il cinghiale, ortaggi e verdure del ducato ma anche salumi e formaggi locali.

La candidatura Unesco

Di grande interesse è un ordine di cucina del castello datato 16 gennaio 1799 che prevedeva “piccole portate di tartufo bianco di Carovilli con mazzette di erbe profumate”.

Questo documento è la testimonianza più antica sulla presenza del tartufo in Molise. Soprattutto, tra quelle più importanti inserite nel dossier di candidatura UNESCO della “Cerca e cavatura del tartufo in Italia”. La cui richiesta di inserimento è stata accolta nel 2021.

Che i duchi di Pescolanciano fossero dei buongustai, sempre aggiornati sulle “mode” enogastronomiche del momento, lo dimostra un altro ordine di cucina, del mese di gennaio dello stesso anno, in cui vengono richiesti “fagioli e polenta in spezie peperonate”.

Questo piatto è la più antica attestazione dell’uso quotidiano di mais e di peperone in Molise. Ingredienti provenienti dal Nuovo Mondo che hanno impiegato secoli per diffondersi in tutta Italia su larga scala.

Nel locale adiacente al museo, è possibile visitare un’esposizione dedicata alla civiltà contadina con tantissimi oggetti legati agli antichi mestieri delle famiglie del ducato.

L’esposizione è molto ricca e comprende attrezzi e strumenti per la lavorazione casearia tradizionale. Oggetti rappresentativi del mondo della transumanza e dell’allevamento, un bellissimo telaio per la lavorazione delle stoffe utilizzate per realizzare la biancheria da corredo, attrezzi agricoli e di bottega. Sicuramente da non perdere!

Curiosità

Al paese di Pescolanciano è dedicata una birra che è possibile trovare solo nei bar locali.

Questa birra, chiamata Pescolanciano ComunAle, è stata realizzata da un noto birrificio locale, La Fucina. Questi hanno “interrogato” gli abitanti del paese tramite un questionario per scoprire quali fossero le caratteristiche più amate nella birra dai suoi abitanti.

È nata, così, una Blond Ale di stampo belga, di circa 6 gradi alcolometrici, con una schiuma non troppo abbondante. Una vera specialità per gli amanti della birra!

Foto Credits: Il Fotografo, Molisensi

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